ASSONOMETRIE E PROSPETTIVE NELLE OPERE DI RODOLFO ARICÒ
Le opere di Rodolfo Aricò esplorano il concetto di spazialismo e provocano una discussione sulle infinite possibilità della forma tela.
Proprio la tela, nel lavoro di una vita di Rodolfo Aricò diventa uno spazio che può essere superato grazie ai principi dell’assonometria prospettica o anche attraverso una speciale stesura del colore.
Lo spazio e la percezione che lo spettatore ha di esso sono i temi principali che si incontrano nelle opere di Rodolfo Aricò.
Le opere di Rodolfo Aricò
Rodolfo Aricò, nato a Milano nel 1930 (morto nel 2002) negli anni Sessanta mette a punto la sua figura archetipa, sviluppata dalla traslazione assonometrica di un disco in diagonale nello spazio.
Per tutta la sua vita si dedica a una ricerca artistica che lo porta a realizzare dipinti su telai sagomati, con cui instaura una relazione inedita con lo spazio circostante e una sfida percettiva con l’osservatore.
Le opere di Rodolfo Aricò si compongono dei cicli delle Assonometrie, delle Strutture orfiche, delle Anomalie e delle Prospettive.
E’ la materia ma anche il colore ad essere plasmato per creare qualcosa che vada oltre la materialità.
Nelle opere di Rodolfo Aricò ad esempio il colore è spruzzato tramite una pompa normalmente utilizzata in campagna per irrorare le viti, che dà un nuovo senso della profondità.
LA GEOMETRIA DESCRITTIVA DI RODOLFO ARICÒ
La geometria descrittiva è uno dei temi centrali nelle opere di Rodolfo Aricò.
Influenzato da Kenneth Noland ma anche dagli esperimenti prospettici dell’arte del Quattrocento italiano, attraverso le sue tele sagomate l’artista costruisce “dipinti-oggetti”, dove il colore si fa da tramite per consentire una percezione emotiva dell’opera che travalica il rigorismo strutturale delle sue opere.
Rodolfo Aricò è stato un protagonista dell’arte italiana della seconda metà del XX secolo. Con le sue tele sagomate ha posto l’accento sul paradosso della geometria come strumento di rappresentazione, su una pittura che preme sui margini.
Le opere di Rodolfo Aricò vivono di esattezza e instabilità, in un equilibrio in cui il colore è conoscenza dello spazio, in una tensione continua tra superficie e profondità.
L’immagine dissonante di Rodolfo Aricò, che è anche il titolo di una mostra che ne ha celebrato il lavoro a vent’anni dalla morte, è un continuo equilibrio tra geometria, struttura, colore e luce.
RODOLFO ARICÒ E GLI ANNI SESSANTA
Gli anni Sessanta sono particolarmente importanti per l’artista.
Nel 1964 le opere di Rodolfo Aricò vengono presentate alla XXXII Biennale di Venezia.
In questa occasione l’artista espone Trittico dell’esistenza, opera formata da tre grandi tele nelle quali la spartitura ritmica accentua la sua ricerca temporale.
I ritmi seriali sono individuati nelle forme quadrate poste su una direttiva diagonale.
Nel 1965, animato dalla poetica “orfica” di Delaunay, concepisce un archetipo nel fenomeno di due dischi spostati, nei quali la circonferenza di uno passa nel centro dell’altro. Sempre nel medesimo anno, partecipa alla IX Quadriennale di Roma, occasione in cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna acquisisce la sua opera Work in progress. Le “simultanee forme” di Delaunay.
Nel 1968 è invitato alla XXXIV Biennale di Venezia che gli affida un’intera sala in cui realizza uno spazio ambientale costituito da grandi opere da cui emerge il carattere strutturale della sua pittura-oggetto.