Quando osserviamo un’opera d’arte contemporanea, magari una tela completamente bianca o un’installazione fatta di oggetti comuni, ci poniamo spesso una domanda: è davvero arte? Ma chi ha l’autorità di decidere cosa può essere definito tale?
Questo interrogativo è al centro di un dibattito che attraversa il mondo artistico da decenni e forse da secoli, ma che oggi, nell’era del marketing e dei social media, si fa ancora più acceso.
Che cosa rende allora un’opera d’arte davvero tale? Una firma prestigiosa, l’approvazione di un critico, il successo commerciale o l’emozione che suscita nello spettatore?
Se in passato accademie e critici avevano l’ultima parola, oggi il panorama è molto più frammentato, con influenze che spaziano dai mercati internazionali ai social media. In questo post esploro le diverse forze in gioco – istituzioni, mercato, pubblico – e mi interrogo su chi abbia davvero il potere di definire cosa è arte.
CHI DECIDE COSA É DAVVERO ARTE E COSA NON LO È?
Il ruolo delle istituzioni e dei critici
Storicamente, accademie, critici e gallerie hanno avuto il compito di stabilire cosa meritasse di entrare nel pantheon dell’arte. Queste figure, spesso autorevoli e influenti, hanno orientato gusti e tendenze, definendo i parametri di ciò che era “valido” o “degno” di attenzione.
Tuttavia, il mondo dell’arte formato da istituzioni, critici e storici dell’arte è stato spesso criticato e accusato di essere elitario e distante dal pubblico.
Le opere approvate da un ristretto gruppo di esperti non sempre trovano riscontro tra gli spettatori comuni, portando a una frattura tra “arte alta” e “arte popolare”. Capita spesso, infatti, che ciò che la critica considera un capolavoro per il pubblico sia un ammasso di forme e colori incomprensibili.
Il mercato: l’arte come investimento
Negli ultimi decenni, il mercato dell’arte ha assunto un ruolo sempre più centrale nella definizione del valore di un’opera. Record d’asta milionari e la crescente influenza delle case d’aste internazionali, come quelli registrati da Sotheby’s e Christie’s, hanno trasformato l’arte in un bene di lusso, spesso accessibile solo ai super-ricchi.
Questo fenomeno ha alimentato la percezione che il valore di un’opera sia più legato al suo prezzo che al suo contenuto artistico. Opere di artisti emergenti o di movimenti indipendenti rischiano di essere oscurate da produzioni che rispondono più alle logiche del mercato che a quelle creative.
Creare una narrazione culturale è sempre stato importante, ma lo è ancor di più oggi che la comunicazione evviene tramite i social media. Se vuoi saperne di più su questo tema, ti consiglio di leggere Raccontare la cultura sui social: perché è importante creare contenuti?
Il pubblico e l’era dei social media
Oggi, tuttavia il giudizio del pubblico è sempre più influente. Grazie ai social media, artisti che un tempo sarebbero stati ignorati dal sistema tradizionale possono trovare il loro spazio e costruirsi una reputazione globale. Il numero di like, condivisioni e follower può diventare un metro di successo che compete, e talvolta supera, il riconoscimento istituzionale.
Nell’era dei social media, il modo in cui un artista si racconta online ad esempio può fare la differenza. Anzi se cerchi strategie efficaci, ecco 6 consigli per usare i social se sei un artista.
Questo nuovo scenario però non è esente da problemi. La viralità premia spesso opere visivamente accattivanti o provocatorie, a discapito di creazioni più complesse e meno “instagrammabili”.
La domanda allora è: il valore artistico può essere ridotto a un algoritmo?
Se un tempo erano i critici d’arte, gli storici, i collezionisti a decretare il successo di un opera d’arte e decretavano che aveva diritto a posizionarsi in quel ristretto gruppo in cui si trovano i cosiddetti capolavori, ora tutto è stato sostituito dai social media e dal numero di like e cuoricini assegnati a un’immagine.
L’artista come narratore del suo tempo
Al di là di chi detiene il potere di definire cosa sia arte, una cosa è certa: l’arte rimane un linguaggio universale per raccontare il mondo e le sue trasformazioni.
Dalle grotte di Lascaux alle avanguardie del Novecento, ogni epoca ha prodotto opere che, in un primo momento, sono state contestate o incomprese, ma che col tempo hanno acquisito uno status indiscusso.
Forse non esiste una risposta univoca alla domanda “chi decide cosa è arte?”.
La bellezza dell’arte risiede proprio nella sua capacità di stimolare discussioni, mettere in crisi certezze e sfidare convenzioni.
Se la definizione di arte è stata un tempo decretata da istituzioni ed esperti che erano considerati i depositari di verità assolute, oggi è più fluida che mai. La pluralità di voci e prospettive può arricchire il panorama artistico, ma solo se siamo disposti a metterci in gioco come spettatori e critici consapevoli.
E tu, cosa pensi? Chi dovrebbe decidere cosa è arte?
Lascia il tuo commento e partecipa al dibattito!