L’ebbrezza di Noè di Giovanni Bellini
Ebbrezza di Noè. Le celebrazioni dei cinquecento anni della morte di Giovanni Bellini hanno reso possibile l’eccezionale ritorno a Venezia di un capolavoro come l’Ebbrezza di Noè ed esposto al Museo Correr, che da molti decenni non faceva ritorno in Italia.
L’opera, conservata presso il Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie di Besançon dal 1895, è probabilmente l’ultimo capolavoro dipinto dall’anziano maestro ed a lui attribuita nel corso del Novecento, dopo una discussione tra critici e storici durata quattro secoli.
Le vicende dell’Ebbrezza di Noè di Giovanni Bellini sono poco chiare prima del suo arrivo al museo di Besançon. Sappiamo che entra a far parte delle collezioni del museo nel 1896, dopo la donazione dell’intera raccolta di opere dell’artista e collezionista Jean Gigoiux.
L’opera viene citata per la prima volta proprio nell’inventario redatto alla morte di Jean Gigoux e per molto tempo la sua paternità sarà oggetto di discussioni, ripensamenti e dubbi.
Oltre a Bellini, l’opera è stata attribuita a Giorgione, Lorenzo Lotto e Tiziano Vecellio.
Il critico Roberto Longhi nel 1927 e l’americano Bernard Berenson nel 1957 confermano la mano di Giovanni Bellini.
Il tema dell’opera è tratto dal libro della Genesi (9.18-27) e descrive l’episodio in cui Noè, ubriaco, si addormenta nudo nel suo vigneto e viene scoperto dal figlio Cam, che ride nel vederlo in quello stato e che avverte i fratelli, i quali tentano subito di coprire l’anziano padre.
Cam verrà maledetto da Noè per le sue risate e condannato alla schiavitù sua e della sua discendenza.
Questo dramma familiare, che è il simbolo del ripristino di un ordine gerarchico nel mondo dopo il diluvio, era noto ai veneziani perché è anche il soggetto di un mosaico che si trova all’interno della Basilica di San Marco e di un capitello del Quattrocento collocato sulla facciata del Palazzo Ducale, ovvero i principali edifici della città.
Perché è così eccezionale l’Ebbrezza di Noè?
Il primo motivo è dato dal fatto che il tema è raro nella storia dell’arte, ma è anche la prima volta che Giovanni Bellini si mette alla prova con un soggetto tratto dall’Antico Testamento e alla fine della sua carriera.
Il dipinto è denso di significati simbolici: il vino è il simbolo dell’eucarestia e Noè deriso anticipa il Cristo deriso nel Vangelo.
La scena è descritta come se si trattasse di un bassorilievo e tutta la storia è narrata attraverso un complesso gioco di sguardi tra i tre figli di Noè.
L’opera sarebbe anche un invito politico alla pace in un momento in cui Venezia si doveva difendere dalla lega di Cambrai e che pretendeva di assoggettare la Repubblica Serenissima al Papa.
L’Ebbrezza di Noè di Giovanni Bellini è un’opera complessa, carica di simbologie e descritta con uno stile nuovo e in cui Giovanni Bellini, seppur anziano, si lascia ispirare dal giovane discepolo Giorgione e dalla grande rivoluzione della pittura veneziana che stava per farsi strada e che avrà in Tiziano il principale protagonista.
Come sempre un’ ottima descrizione che lascia in chi legge la voglia di andare immediatamente ad ammirarlo.
Grazie Caterina per il tuo lavoro,
Antonio
Grazie a te Antonio per aver letto il post e per il complimento 😉
Forse avresti dovuto citare le fonti. Per esempio i miei due saggi sul dipinto. Stefano Coltellacci
Trattandosi di un blog divulgativo non costruisco mai i post come dei saggi e, quindi, non ho mai la necessità di citare le fonti perché descrivo le opere secondo le conoscenze che sono riferite in qualsiasi libro di storia dell’arte. In questo caso, tra l’altro, ho descritto l’opera secondo quanto riferito durante la conferenza stampa di una mostra tenutasi al Museo Correr e non mi pare proprio che i suoi saggi siano stati citati.
Comunque, non avendo trovato alcunché in rete, la invito a scrivere un commento inserendo i titoli dei saggi che lei ha scritto e magari un link, per dare modo a chiunque di leggerli.