Immagina di trovarti di fronte a un’opera d’arte, il tuo sguardo incrocia quello del personaggio ritratto e in un istante la distanza tra te e l’opera svanisce. Questo potente legame tra osservatore e soggetto rappresentato è un’illusione magistralmente orchestrata dagli artisti nel corso dei secoli.
Dalle opere del Rinascimento ai capolavori contemporanei, scopriamo come lo sguardo oltre l’immagine trasforma la percezione dell’arte, abbattendo la barriera tra finzione e realtà e creando un ponte emotivo che ci avvicina alla storia rappresentata.
LO SGUARDO NELL’ARTE
Quando osserviamo un’opera d’arte e il nostro sguardo incrocia quello del personaggio rappresentato è come se la distanza tra noi osservatori e il soggetto rappresentato nell’opera scomparisse all’istante.
Molti sono stati gli artisti che nel corso dei secoli hanno tentato di escogitare soluzioni sempre nuove per rendere la distanza tra l’osservatore e l’osservato sempre più sottile, nel tentativo di annullarla completamente.
Spesso è il committente che osserva lo spettatore oppure è l’artista che si è ritrae all’interno dell’opera e guarda negli occhi colui al quale si rivolge la sua creazione.
LO SGUARDO OLTRE L’IMMAGINE
Nel Rinascimento, l’invenzione della prospettiva consegna agli artisti uno strumento eccezionale per accentuare non solo la profondità dello spazio ma per rendere anche credibili le azioni interpretate dai protagonisti nelle storie rappresentate. Sempre più spesso gli artisti del Rinascimento fanno in modo che un personaggio guardi al di là dell’immagine, per stabilire un contatto diretto tra l’opera d’arte e lo spettatore, tra il mondo della finzione e la realtà concreta di chi sta osservando.
Quello di fare in modo che lo sguardo vada oltre l’immagine è uno stratagemma simile a quello utilizzato dai registi del cinema e infatti sono molte le opere della settima arte che usano inquadrature che agiscono con un effetto estremamente coinvolgente e in cui lo sguardo del personaggio sullo schermo incrocia volontariamente quello di chi sta osservando la scena. Chi non ricorda lo sguardo del protagonista di “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, che annulla la distanza tra la finzione filmica e la realtà.
Nella Trinità di Masaccio la Vergine è descritta ai piedi della croce, ma il suo sguardo è orientato verso il fedele che osserva e contemporaneamente indica con la mano destra il figlio crocifisso come a comunicare una richiesta di condivisione del suo stesso dolore, oppure per invitare la preghiera.
DALLA FINZIONE ALLA REALTÀ
L’incrocio di sguardi tra chi osserva e chi è osservato, tra immagine e realtà consente di creare un ponte emotivo tra la storia e chi fruisce di essa. Nel gergo teatrale l’abolizione di questa barriera si chiama abolizione della “quarta parete”, ovvero l’eliminazione di quell’elemento che separa la rappresentazione dalla vita vera.
Nella Madonna col Bambino e due angeli di Filippo Lippi l’illusionismo della finta cornice lapidea che inquadra la scena è accentuato dalla figura dell’angelo in primo piano che, pur sostenendo il piccolo Gesù, trova il tempo di volgere lo sguardo verso chi osserva, catturandolo con un sorriso e uno sguardo quasi ammiccante.
La Madonna Sistina di Raffaello è Papa Sisto Quarto che con la mano destra indica alla Madonna i fedeli, ovvero noi che osserviamo. Non mancano inoltre in quest’opera gli sguardi di Maria e di suo figlio che osservano oltre il quadro, cercando un contatto con noi e anzi avanzando verso di noi, camminando su un tappeto di nuvole. Inoltre i due celebri angioletti, un po’ annoiati e appoggiati a una specie di davanzale accentuano la sensazione di continuità tra l’interno dell’opera e ciò che sta all’esterno, ovvero al di qua dell’opera.
L’ARTISTA COME PONTE EMOTIVO TRA L’OPERA E LO SPETTATORE
A partire dal XIV secolo viene introdotta una variante dello sguardo rivolto allo spettatore e sempre più spesso si assiste all’inserimento nell’opera d’arte dell’autoritratto dell’artista. Si tratta di una presa di coscienza importante da parte degli artisti, che acquisiscono una nuova consapevolezza del proprio ruolo sociale e culturale, frutto di una emancipazione dalla precedente condizione di artisti-artigiani.
Per un artista inserire il proprio autoritratto all’interno della propria opera, con lo sguardo rivolto allo spettatore, significa inviare a chi osserva un invito a partecipare alla storia rappresentata, inoltre si tratta dell’orgogliosa rivendicazione della paternità di quell’opera.
Celebre è l’autoritratto di Sandro Botticelli nell’Adorazione dei Magi, in cui l’artista ha realizzato il proprio ritratto a figura intera sul margine destro dell’immagine, fornendo al suo volto un’espressione compiaciuta e uno sguardo che sembra proprio uscire dalla scena.
Nonostante le sperimentazioni e la direzione astratta dell’arte contemporanea anche gli artisti del Novecento non si sono sottratti al desiderio di ritrarsi all’interno delle proprie opere. A partire dal 1960 Michelangelo Pistoletto elabora una tipologia nuova dell’autoritratto, applicando su superfici specchianti l’immagine della propria figura di dimensioni reali, creando un risultato clamoroso: da un lato incrocia il proprio sguardo con quello dello spettatore, dall’altro trascina lo spettatore nell’opera tramite la propria immagine riflessa.
Finzione realtà si sovrappongono e iniziano a dialogare.
Lo sguardo nell’arte è più di un semplice dettaglio, è un potente mezzo di connessione che trascende il tempo e lo spazio. Attraverso questo gioco di sguardi, gli artisti ci invitano a diventare parte della loro creazione, coinvolgendoci emotivamente e intellettualmente. Che si tratti di un affresco rinascimentale o di un’opera contemporanea, il dialogo silenzioso tra l’osservatore e l’opera d’arte continua a evocare meraviglia e riflessione, ricordandoci che, nella contemplazione dell’arte, realtà e finzione sono indissolubilmente intrecciate.