Il QUATTROCENTO
Continua la collaborazione tra The ART post Blog e St-ART.
Ho iniziato a collaborare con i fondatori di questa straordinaria pagina Facebook, perché credo sia l’unica che offre un approfondimento sulle opere pubblicate e nel flusso costante e confuso delle immagini sui social essa offre la possibilità di fermarsi veramente ad ammirare un capolavoro, imparandone ad apprezzare i dettagli.
In questo scopriamo una delle “Dame del Pollaiolo”, protagonista di una mostra-evento proprio in queste settimane presso il Museo Poldi Pezzoli di Milano.
Piero (1441/42 – 1485/96) o Antonio (c. 1431 – 1498) di Iacopo Benci detti del Pollaiolo “Portrait of a young lady/Ritratto di giovane dama” (1470 – 1472), Mixed technique on board, cm 45.5 x 32.7, Museo Poldi Pezzoli, Milano
Sulla campitura uniforme di un cielo terso e sereno si staglia il profilo di una giovane donna: una posa statica, dunque, mutuata dalla medaglistica e dai coni del mondo antico, la quale, in associazione a quel guizzo di movimento che a stento riesce a trattenere l’elegante dama e che si percepisce nella lieve torsione del busto ad accentuare l’ampia scollatura, potrebbe apparire a dir poco contraddittorio.
Ma è questo il mondo di una delle botteghe più fervide del Quattrocento fiorentino, quella dei fratelli Pollaiolo, scultori ed orefici non meno che pittori. Ed è quello stesso tratto incisivo, profondo, tagliente, atto a modellare il metallo, che ritroviamo trasposto nella vagheggiata linea di contorno della produzione di tale atelier: un tratto rude e spigoloso, come quello di Andrea del Castagno, ma che, specialmente sotto la mano di Antonio, si ammanta di una potenza che, se non traduce l’esasperata espressività psicologica donatelliana, ne coglie cionondimeno gli aspetti più propriamente cinetici nella loro autentica tensione anticlassica.
Nel ritratto del Poldi Pezzoli – probabilmente un dipinto destinato a siglare l’esito positivo di una trattativa nuziale, come sembrerebbe suggerire la presenza costante, quasi ossessiva, delle perle – la figuretta diafana della nobile fanciulla pare straripare oltre l’argine preciso e calligrafico del disegno, per espandersi in una superficie pressoché unitaria, in cui un luminismo diffuso, zenitale, derivato da Domenico Veneziano, smorza il chiaroscuro fin quasi a farlo trascolorare nell’infinita politezza che leviga il morbido incarnato.
Meno attenta e meno fiamminga rispetto al coevo Piero della Francesca è la resa dei tessuti, dei monili, dei diversi oggetti che adornano il capo e il corpo della novella sposa, di quelle maniche intessute di un materiale indefinibile e di quelle perle che non splendono algide come una lacrima alla maniera di un artista delle Fiandre: eppure, anche qui, i “valori tattili” tanto cari al Berenson sembrano non voler farsi negare, emergendo nello straordinario velo trasparente che, agganciandosi alle piccole orecchie, trattiene i capelli paglierini in una crocchia sferica sulla nuca.
(Daniele)
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