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Il Kavafis di “Aspettando i barbari” ci appare molto diverso da quello che finora abbiamo incontrato: le venerande macerie della macchina dell’imperialismo romano sono sul punto di crollare, eppure non si percepisce qui quella delicata elegia che caratterizza “Il dio abbandonava Antonio”.
Vi è, piuttosto, una sferzante ironia nei confronti di quegli ultimi epigoni di Romolo, logorati nello spirito e fiaccati nel corpo al punto da invocare l’avvento dei barbari come una palingenesi provvidenziale: un ritratto sprezzante di un’epoca, quella del tardo impero, fin troppo denigrata dalla storiografia ottocentesca, arricchito da Kavafis in maniera icastica mediante la puntualizzazione di quei tratti salienti che ne rendono palpabile l’inconsistenza, dai vuoti cerimoniali, inutile orpello di glorie trascorse, alla magniloquenza di titoli tanto aulici quanto inani.
Come di consueto, tuttavia, Kavafis prosegue oltre, scruta nelle viscere della storia e ne trae, come un aruspice, fatali leggi cosmiche: e, andando contro lo stesso corso degli eventi, i barbari, come in un dramma dell’assurdo, finiscono per non arrivare mai più.
Non c’è via di uscita dal grande teatro del mondo, l’uomo ne è al contempo prigioniero e protagonista: come ai Romani della decadenza non basta l’illetteraleità feroce dei barbari per spazzare via l’opprimente retorica delle tarde declinazioni del sofismo, così non c’è soluzione approntata dal destino a vantaggio del genere umano.
È vero forse il contrario: la storia tra uomo e destino è votata ad un perenne conflitto.
(Daniele)
Che aspettiamo, raccolti nella piazza?
Oggi arrivano i barbari.
Perché mai tanta inerzia nel Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.
Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?
Oggi arrivano i barbari.
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.
Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
Perché brandire le preziose mazze
coi bei caselli tutti d’oro e argento?
Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.
Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?
Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.
Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti serii)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.
K. KAVAFIS, “Aspettando i barbari”
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