C’è sempre un buon motivo per tornare alla Collezione Peggy Guggenheim.
Probabilmente è il museo più “vivo” che conosca, perché ogni volta trovo qualche cosa di nuovo da vedere, opere da scoprire, artisti da conoscere da punti di vista insoliti e poi perché nelle sale si respira sempre un’aria di festa.
Ho sempre la sensazione che tutti si divertano ed è contagioso!
Il 2015 in Guggenheim è stato dedicato a Pollock e tra i tanti eventi si è festeggiato anche il ritorno di una delle opere più belle del genio dell’Action Painting.
Dopo oltre un anno di assenza e dopo essere stato oggetto di un importante progetto di studio e conservazione presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze “Alchimia” è tornata alla Collezione Peggy Guggenheim.
L’evento è stato celebrato con la mostra scientifica “Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia” (14 febbraio – 6 aprile 2015), ma l’opera è ora esposta nuovamente all’interno del percorso espositivo ed è, in questi mesi, posta vicino al grande Murale che Peggy commissionò a Jackson nel 1943.
Alchimia è stata realizzata nel 1947 e rappresenta l’inizio della rottura con i canoni tradizionali della pittura e del disegno per una produzione pittorica in cui l’artista entra letteralmente nell’opera assieme al colore.
La superficie pittorica diventa un corpo solo con il gesto dell’artista, che diventa una tavolozza dove il colore, ma anche altri materiali entrano nella composizione come se fossero attirati da una forza che tutto trattiene e tutto inghiotte.
Alchimia è action painting allo stato puro, una tecnica che sarà il pilastro di tutta la produzione artistica di Pollock.
Il progetto di restauro di Alchimia è il primo in Italia su un’opera d’arte contemporanea di tale importanza ed è stata l’occasione per verificare che i materiali pittorici aderissero ancora perfettamente alla tela, consolidare alcune parti e pulire la superficie.
L’opera, così come l’ha terminata Pollock, non possiede alcuna vernice protettiva e pertanto, nel corso del tempo, si era depositato uno strato di polveri che non permetteva di ammirare pienamente la composizione, che non è solo un dipinto, ma anche un capolavoro tridimensionale.
L’opera ha ritrovato i suoi colori e sono stati svelati i 19 colori utilizzati dall’artista.
In passato questo capolavoro poteva sembrare essere stato realizzato senza un piano preciso, attraverso schizzi e colate casuali, ma il lavoro di studio e restauro ha fatto emergere un preciso ordine compositivo.
C’è un piano razionale nella stesura dei colori, in cui le linee rette si bilanciano con quelle curve, i colori brillanti con i colori opachi, il nero con l’argento, il blu con il rosso.
I sottili tratti bianchi riemersi dopo la pulitura disegnano una sorta di griglia, come se Pollock avesse avuto in mente fin dall’inizio l’architettura generale del dipinto, e avesse così diretto l’opera come fa un direttore d’orchestra con i suoi elementi.
Concorda dunque il team coinvolto in questo importantissimo progetto che in un’opera così grande sarebbe stato impossibile ottenere tale risultato in modo del tutto incontrollato.
La tela è stata realizzata con 4,6 chilogrammi di materia pittorica, una quantità enorme se paragonata a quella utilizzata per i dipinti antichi e rinascimentali delle stesse dimensioni, che ne contengono in media tra i 200 e 300 grammi.
Il progetto di ricerca, il primo in assoluto in Italia, è stato reso possibile grazie alla costituzione di un gruppo scientifico coordinato dai dipartimenti di conservazione della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e del Museo Solomon R. Guggenheim di New York in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, con il prezioso apporto del CNR-ISTM e del Centro di eccellenza SMAArt dell’Università di Perugia, del CNR-INO e dell’INFN dell’Università di Firenze, del Visual Computing Lab del CNR-ISTI di Pisa, del Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino.
Il restauro ha coinvolto inoltre scienziati, conservatori e curatori americani che hanno già svolto ricerche sulle tecniche di Pollock.
Direi che, solo per vedere questo capolavoro, c’è un’ottimo motivo per tornare alla Collezione Peggy Guggenheim oppure per andarci per la prima volta 🙂
INFO
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Collezione Peggy Guggenheim
Palazzo Venier dei Leoni. Dorsoduro 701 – 30123 Venezia