L’arte e la vita nelle opere di Yayoi Kusama sono indissolubilmente legate.
Nata in Giappone, a Matsumoto, nel 1929, la sua famiglia appartiene all’alta società e aveva deciso per lei una precisa posizione nella società. Fin da bambina però Kusama inizia ad avere delle allucinazioni uditive e visive.
L’arte si rivela fin da subito un elemento necessario e terapeutico, con la quale gestisce le sue allucinazioni. Nelle opere di Yayoi Kusama è presente questo elemento che trasforma una realtà alterata in arte pura.
L’Infinito Presente nelle opere di Yayoi Kusama
Come la stessa Yayoi Kusama ha raccontato è iniziato tutto in un campo di fiori di proprietà della famiglia:
“C’era una luce accecante, ero accecata dai fiori, guardandomi intorno c’era quell’immagine persistente, mi sembrava di sprofondare come se quei fiori volessero annientarmi”.
La famiglia di Yayoi Kusama non accetta la sua passione per l’arte e non capisce neppure quale sia la visione del mondo della figlia.
Sua madre distrugge i disegni dell’artista prima che lei riesca a terminarli e, proprio per questo motivo, una delle sue prime forme d’arte sono i pois, elementi veloci da disegnare e considerati innocui.
Yayoi Kusama si dedica con grande dedizione allo studio dell’arte, nonostante il parere contrario della famiglia, e rimase colpita dalle opere di Georgia O’Keeffe, moglie di Alfred Stieglitz, e decise di scriverle. Fu proprio dopo aver ricevuto la sua risposta che Yayoi Kusama decise nel 1958 di trasferirsi negli Stati Uniti, soggiornando prima a Seattle e poi a New York.
Gli inizi negli Stati Uniti non furono facili. Yayoi Kusama trova notevoli difficoltà nell’ambiente artistico, sia perché era fortemente maschile sia perché le sue origini giapponesi ostacolavano la possibilità di essere accettata dalla cultura americana.
Tuttavia, le opere di Yayoi Kusama non passano inosservate e ben presto comincia a farsi strada all’interno dell’avanguardia newyorkese e inizia ad essere considerata una rivoluzionaria per l’epoca.
Dopo aver raggiunto la fama in tutto il mondo nel 1973 Yayoi Kusama torna in Giappone, dove nel 1977 si fa ricoverare spontaneamente in un istituto psichiatrico dove vive ancora oggi. Questo però non le ha impedito di affittare un atelier davanti all’ospedale, in cui si reca ogni giorno per dipingere e lavorare.
In questi anni infatti ha continuato a scrivere e a creare opere, collaborando anche con celebri brand di moda e dedicandosi completamente alla sua ricerca, dipingendo quadri e scrivendo romanzi e poesie.
L’INFINITO PRESENTE IN UNA DELLE ULTIME OPERE DI YAYOI KUSAMA
Una delle ultime opere di Yayoi Kusama s’intitola Fireflies on the Water ed è un’installazione dalle dimensioni di una stanza che consiste in un ambiente buio, rivestito di specchi su tutti i lati. Al centro della sala si trova una pozza d’acqua, che trasmette un senso di quiete, in cui sporge una piattaforma panoramica simile a un molo e 150 piccole luci appese al soffitto che, come suggerisce il titolo, sembrano lucciole.
Questi elementi creano un effetto abbagliante di luce diretta e riflessa, emanata sia dagli specchi che dalla superficie dell’acqua.
Lo spazio appare infinito, senza cima né fondo, inizio né fine. Come nelle prime installazioni di Yayoi Kusama, tra cui l’Infinity Mirror Room (1965), anche quest’ultima incarna un approccio quasi allucinatorio alla realtà. Sebbene legato alla mitologia personale dell’artista e al processo di lavoro terapeutico, quest’opera si riferisce anche a fonti varie come il mito di Narciso e il paesaggio giapponese nativo di Kusama.
Il luogo che accoglie l’installazione è ovattato nelle luci e nei suoni e l’arrivo alle soglie della stanza ha la valenza di un atto meditativo, di una contemplazione capace di portare il pubblico in una dimensione altra e diversa, un invito ad abbandonare il senso di sé e ad arrendersi a una sorta di magia meditativa.