Lo specchio nell’arte: la sua funzione e il suo significato

Claudia Verroca | Alba

Claudia Verroca, Alba, 2020 – @sonosolostorie

Qual è la funzione dello specchio e quale significato ha lo specchio nell’arte ?
Lo specchio riflette ciò che gli sta di fronte, restituisce un’immagine della realtà oppure descrive ciò che chi guarda vuole vedere?

In questo post una riflessione sullo specchio nell’arte, da Narciso all’arte contemporanea.

Lo specchio nell’arte: davvero solo narcisismo?

 

Lo specchio riflette te stesso ed esiste perché ti rifletti in esso. Solo l’esercizio del pensiero fa funzionare lo specchio. Lo specchio esiste unicamente se ti riconosci in esso.

Lo specchio è una protesi ottica che il cervello usa per interrogarsi e conoscersi (come sostiene Michelangelo Pistoletto).

Quante volte ci siamo ritrovate/i ad ammirarci allo specchio prima di uscire?
Inizialmente magari volevamo controllare che il rossetto non avesse sbavature o che
la camicia fosse ben stirata ma poi per qualche minuto il nostro sguardo si è posato
su qualcos’altro: noi stessi.

Questa associazione del narcisismo con lo specchio trae le sue radici in epoche molto antiche, già la parola stessa allude al giovane Narciso che innamorato della sua immagine finirà poi per essere questa motivo della sua disgrazia.
A seguire già in epoca cristiana la stessa Vergine Maria veniva definita come uno ‘specchio senza macchia’ (Speculum sine macula).

Pare dunque facile desumere che guardarsi per puro autocompiacimento sia stato considerato per un bel po’ di tempo come ‘una macchia’ da espiare, un’azione vanesia e superficiale da condannare anche se, già dal Medioevo, a questa parola viene sotteso un’ulteriore significato.

Lo stesso Hieronymus Bosch nel 1480 circa in Il giardino delle delizie ne fornisce una interessante manifestazione rappresentando lo specchio come un oggetto in bilico fra la prudentia e la vanitas che secerna al suo interno il male e un insieme di forze sconosciute. Simboleggia un’analisi introspettiva, non andata a buon fine, che ha a che fare con l’andare oltre il confine designato secondo toni e prudenze religiose.
Qui Bosch disegna uno specchio da cui fuoriesce una figura che ci sembra un mezzo satiro e un mezzo demone e così facendo pare che abbia voluto esemplificare a noi fruitori moderni quello che questo strumento simboleggiasse per le persone del tempo: il male.

Hieronymus Bosch | Il giardino delle delizie

Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie, 1480-90 circa, Museo El Prado (Madrid)

D’altronde lo stesso Baudelaire nel 1800 riprenderà questa idea sostenendo che l’ironia come la malinconia e la stessa immagine rinviata dagli specchi fossero le personificazioni di Satana.

Tornando alle arti figurative, Goya nel 1700 realizzata Hasta la Muerte dove un’anziana signora si specchia e le dame di corte e gli altri protagonisti del dipinto la osservano e la deridono.
Qui l’autore inserisce un nuovo tema che si cela dietro l’utilizzo di questo oggetto ovvero il mito dell’immortalità, lo specchio diviene un fermo immagine, uno stop al tempo: una fotografia ante litteram.

A seguire nel Novecento lo stesso signor Vitangelo Moscarda in Uno Nessuno Centomila – complici le innumerevoli teorie sul campo della depersonalizzazione e della psicoanalisi grazie a Jung, Freud e seguaci – è un classico esempio per quanto concerne l’analisi frammentata del proprio io.
Tanto quanto Vitangelo Moscarda nota dei cambiamenti nel suo naso in una giornata
qualsiasi, così la donna di Picasso in “Ragazza di fronte allo specchio” del 1932 non è la stessa persona fuori e dentro lo specchio.

Pablo Picasso | Ragazza di fronte allo specchio

Pablo Picasso, Ragazza di fronte allo specchio, 1932, Moma (NYC)

Ma cosa succede quando al posto di questo oggetto, l’artista si confronta e si ‘studia’ su uno schermo?
Nella Firenze di fine anni ’60, l’americano Vito Acconci inizia a collaborare con Video Tapes 22 una realtà fiorentina dedita allo studio dei nuovi supporti video e multimediali, con il fine di arricchire il proprio background culturale sperimentando nuove dimensioni e formati.
In Theme Song, opera data nel 1973 Vito Acconci utilizza il supporto video e lo rielabora come opera installativa e performativa.

Nel suo lavoro l’artista crea a 360 gradi: è lui che filma la scena, è lui il soggetto ed è lui il fruitore.
Nei diversi minuti ripresi Vito Acconci flirta con sé stesso nel vero senso del termine come se stesse parlando ad uno ‘specchio tecnologico’, un dialogo muto lo porta a giocherellare con i suoi capelli ad alludere a parole o gesti ammiccanti con il suo io interiore ed esteriore.

Vito Acconci | Theme song

Vito Acconci, Theme song, 1973, Firenze (da https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2017/04/addio-a-vito-acconci-morto-un-gigante-arte-e-architettura-contemporanea/attachment/vito-acconci-theme-song-1973/)

Oltre ad Acconci anche molti gli artisti contemporanei si sono cimentati nel tema della riflessione talvolta in una chiave sociale e collettiva.
Si pensi a Michelangelo Pistoletto e ai Quadri Specchianti o ancora ad Anish Kapoor o Giuseppe Penone.
Proprio questo ultimo nel suo lavoro “Rovesciare i propri occhi”, riflette sulla dinamica della dilatazione dello spazio e della sua interiorità.
Penone decide di indossare delle lenti che lo rendono cieco mentre il fruitore vede in esse il riflesso dello spazio che circonda l’artista.

Un gioco di immedesimazione e alterazione che ha reso l’opera e i mille riflessi di Penone famosi in tutto il mondo.

Giuseppe Penone | Rovesciare i propri occhi

Giuseppe Penone, Rovesciare i propri occhi (1970)

Questo post è stato scrittoda Ilaria Ferretti
Instragram – @frankiscoming 
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