COSA VEDERE AL PALAZZO DUCALE DI MANTOVA
A chi mi chiede cosa vedere al Palazzo Ducale di Mantova rispondo sempre con una lista di opere e di stanze che, secondo me, tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita.
Non pensate però che una lista di quattro o cinque ambienti significhi che la visita al Palazzo è alla portata di chi ha poco tempo.
Visitare Palazzo Ducale di Mantova richiede almeno mezza giornata, ma se vuoi esplorare con calma tutto il palazzo e conoscere una buona parte delle sue storie potrebbe volerci anche di più.
In questo post faccio un elenco di ciò che devi assolutamente vedere al Palazzo Ducale di Mantova, ma una volta entrato verrai rapporto dalla vastità del percorso e dalle tenete storie che le opere potranno raccontare.
Cosa vedere al Palazzo Ducale di Mantova
LA CAMERA DEGLI SPOSI
Capolavoro di Andrea Mantegna, la Camera degli Sposi è stata realizzata tra il 1465 e il 1474 per Ludovico Gonzaga e la moglie Barbara di Brandeburgo.
Nonostante il nome, non si tratta di una stanza nuziale ma di una sala di rappresentanza in cui le decorazioni celebrano la famiglia Gonzaga, stupiscono il visitatore e in cui è chiara la ricchezza e la potenza dei duchi di Mantova.
Tutti personaggi rappresentati sulle pareti sono fedeli ritratti della famiglia e dei membri della corte, ma è l’oculo posto sul soffitto della stanza a sorprendere.
Un effetto illusionistico incredibile per l’epoca, in cui sembra che il soffitto possieda realmente un varco per osservare il cielo. Un elemento decorativo che apre la strada a innumerevoli altre ispirazioni e variazioni.
Per la descrizione dell’opera e le curiosità ti consiglio di leggere anche il post La Camera degli Sposi di Mantegna: curiosità e descrizione dell’opera.
SALA DEL PISANELLO
Pisanello fu uno dei principali esponenti del “gotico fiorito” e nel 1433 iniziò a lavorare all’importante ciclo di affreschi del Palazzo Ducale di Mantova.
Gli studiosi ritengono si tratti della descrizione delle vicende dei cavalieri dell Tavola Rotonda narrate nel romanzo bretone “Lancelot”.
Una curiosità: gli affreschi di Pisanello sono stati scoperti solo negli anni Sessanta del Novecento quando, durante un restauro, si scoprì che sotto la pittura delle pareti esisteva quest’opera meravigliosa e ancora tutta da studiare.
SALA DEL LABIRINTO
Il celebre soffitto dà il nome a questa sala.
Se si alza lo sguardo si può ammirare il labirinto con all’interno il motto “forse che sì, forse che no”, tratto da una famosa frottola amorosa del Cinquecento e che allude all’incertezza della vita.
Questa sala ispirò a Gabriele D’Annunzio il romanzo “Forse che sì, forse che no”, pubblicato nel 1910, che narra la passione amorosa tra Paolo Tarsis e Isabella Inghirami.
Esiste però anche una stanza realizzata nell’Ottocento e ispirata proprio alla sala del Labirinto. Si tratta del Passaggio del Labirinto di Museo Bagatti Valsecchi a Milano, nel cui centro campeggia la scritta SIC ITUR PER ANGUSTA AD AUGUSTA (Così si giunge attraverso le difficoltà a cose eccelse).
STANZE DEGLI ARAZZI
Sono quattro gli ambienti che ospitano nove preziosi arazzi del Cinquecento e che ripropongono le storie tratte degli Atti degli Apostoli che Raffaello ha realizzato per la Cappella Sistina.
Queste sono le copie autentiche tratte dai cartoni di Raffaello, oggi conservati al Victoria and Albert Museum, e che furono usati dagli arazzieri di Bruxelles per realizzare questo ciclo di opere raffinate e rare.
Fu il cardinale Ercole Gonzaga ad acquistarli, nel 1559, per la Basilica di Santa Barbara.
Nel Settecento gli arazzi vennero trasferiti negli ambienti dove ora si trovano e dove furono realizzate delle tele, dipinte come finti arazzi, con sue del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Nel 2024, inoltre, è stato acquistato all’asta a Londra un arazzo orizzontale con lo stemma e una dedica a un cardinale appartenente al casato dei Gonzaga. L’arazzo è datato 1528 e rappresenta l’Allegoria della Giustizia accompagnata da due gruppi di figure immerse in un paesaggio collinare e lacustre. Trattandosi di uno dei più antichi esempi di arazzo italiano, il Palazzo Ducale ha provveduto a riportare in Italia questo capolavoro, che appartiene alla storia dei Gonzaga e potrà rientrare nel progetto di riallestimento delle collezioni rinascimentali del Palazzo.
LA GALLERIA DELLE METAMORFOSI
Dal 9 aprile ha riaperto al pubblico la Galleria delle Metamorfosi con collezione e allestimento inediti a rievocare la Wunderkammer dei Gonzaga.
Un evento che non segna solo la riapertura di un’area precedentemente chiusa ai visitatori da anni, ma l’occasione per offrire al pubblico una sezione completamente nuova da vedere al Palazzo Ducale di Mantova con una collezione tutta nuova che rievoca la celebre Wunderkammer (“camera delle meraviglie”) dei Gonzaga.
La Galleria delle Metamorfosi, così chiamata per via delle decorazioni ispirate all’omonima opera del poeta latino Ovidio, è nota anche col nome di “Galleria di Passerino”.
Proprio qui i Gonzaga conservavano la mummia del precedente Capitano del Popolo Passerino Bonacolsi, ucciso nel 1328 per prenderne il posto alla guida della città.
Questi ambienti accoglievano le collezioni naturalistiche dei Gonzaga che, come in una sorta di museo delle scienze, servivano per ammirare e studiare reperti animali, minerali e vegetali che raramente si potevano vedere a quel tempo.
Una raccolta che serviva anche a stupire i papi, i principi e le delegazioni diplomatiche in visita al Palazzo Ducale di Mantova. Un esibizione di potenza!
Della leggendaria collezione naturalistica dei Gonzaga resta oggi soltanto l’ippopotamo, oggi conservato presso il Museo Kosmos di Pavia, sul quale era collocato Passerino Bonacolsi. Il resto degli oggetti che ora fanno parte della collezione esposta presso la Galleria delle Metamorfosi è frutto di una ricostruzione e di una serie di acquisizioni.
La Galleria delle Metamorfosi è anche interessante per la sua architettura e le sue decorazioni.
Distinta com’è in quattro ambienti, ciascuno dei quali richiama un elemento naturale. Gli stucchi e le pitture furono progettati a fine Cinquecento da Antonio Maria Viani e la galleria, quadripartita, ha un aspetto straordinariamente mitteleuropeo.
L’apertura di questa nuova sezione permette di visitare anche altre sezioni di Palazzo Ducale: per accedere alla Galleria delle Metamorfosi il pubblico potrà, dall’Appartamento di Troia in Corte Nuova, percorrere il tragitto che comprende la Galleria dei Mesi (attualmente in restauro) e la straordinaria Galleria della Mostra, con l’affaccio sul Cortile della Cavallerizza.
IL CORNO DI UNICORNO
Tr ai reperti preziosi e rari della Galleria delle Metamorfosi c’è anche un Corno di Unicorno, ovvero un dente di narvalo.
Fino alla metà del Seicento del narvalo, cetaceo dei mari del nord, non si sospettava l’esistenza, quantomeno in Italia, e la sua lunga zanna era scambiata per il corno del misterioso e mitologico unicorno.
Il celebre “monoceros”, del quale si scriveva sin dall’antichità: almeno dal V secolo a.C., quando Ctesia di Cnido, medico di Artaserse II Mnemone re di Persia, scrisse che nell’Indostan, pianura alluvionale percorsa dai fiumi Gange e Indo, viveva questa specie di asino dal vello bianco e dalla testa purpurea sulla quale spiccava un unico corno, bianco nella parte vicina alla testa, nero nella centrale e cremisi verso la punta.
Da allora, le descrizioni si moltiplicarono e l’unicorno divenne uno splendido cavallo bianco con un corno in fronte. Secondo altre descrizioni poteva avere fattezze di asino e persino di caprone.
Si affermò stabilmente la tendenza a descriverlo bianco, candido, anche perché l’animale prese un significato simbolico legato alla purezza.
Il corno di questo animale, bellissimo e bianchissimo, divenne sinonimo di potere.
Il “Trono della Consacrazione” dei reali di Danimarca, nel Castello di Rosenborg a Copenaghen, è costruito in gran parte utilizzando questi corni.
Ovviamente il corno di Unicorno non poteva mancare neppure nelle corti rinascimentali italiane.
Isabella d’Este esibiva, presso il Palazzo Ducale di Mantova, nella sua Grotta «una corna di alicorno longa palmi sette e mezo, la quale è posta sopra l’armarii, suso duoi rampini torti de fuora via» e questo corno era stimato il più bello in Europa, assieme all’esemplare in possesso di re Sigismondo di Polonia.
Il valore dell’oggetto era legato alla sua rarità, alla sua origine misteriosa, al suo valore allegorico e alle sue presunte proprietà terapeutiche.
Il corno, infatti, se polverizzato, era ritenuto secondo la medicina del tempo il miglior antidoto possibile contro il veleno.
All’interno del Palazzo Ducale di Mantova vi sono almeno 3 rappresentazioni dell’Unicorno:
- un affresco nel camerino degli Uccelli, in Corte Nuova, databile al 1570 circa;
- nello stemma della famiglia Petrozzani, sulla campana esafinestrata datata 1593 (corridoio di Santa Barbara);
- nell’Età dell’Oro di Sante Peranda, dei primi del Seicento, ora nella sala del Labirinto.
Fu nel Seicento che il dente di narvalo perse il suo valore mitico.
Fu il medico danese Olaus Worm a sperare l’incantesimo nel 1655, seguito poi da altri studiosi, affermando che gli unicorni non esistono!
Fu lui a svelare che si trattava del dente del narvalo, un cetaceo che abita i mari del Nord e i cui esemplari maschi possiedono un dente che fuoriesce dal labbro superiore per formare una zanna della lunghezza anche superiore ai due metri.
Isabella d’Este però non lo sapeva e con lei non lo sapeva nemmeno Ulisse Aldrovandi, celebre naturalista vissuto nel secondo Cinquecento, il quale, nel 1571, vide e descrisse il corno di Unicorno di Mantova:
«Un unicorno della lunghezza di nove palmi … Fatto a spirale, è scanalato e contorto, di colore bianchiccio».
Il dente di Narvalo recuperato ed esposto a Palazzo Ducale di Mantova è giunto dopo un lungo viaggio, con i certificati che attestano come l’oggetto non derivi da caccia illecita.
Gli Inuit, infatti, possono cacciare il narvalo da agosto a ottobre di ogni anno e le zanne raccolte possono uscire dal Canada solo per ragioni particolari.
Finalmente un corno di Unicorno è tornato a Mantova ed è lungo proprio 178 cm, come quello posseduto da Isabella d’Este.
Ho visitato il palazzo Ducale quando ero molto giovane essen do mia mamma nativa di Mantova e ho un buon ricordo specialmente le pitture del Mantegna tutto molto bello e interessante opere bellissime e ben conservate ricordo anche le camere dei nani di corte ecc
Mantova è speciale e la sua storia e i suoi capolavori sanno raccontare storie sempre nuove.
Ultimamente sono stati rinnovati molti dei percorsi museali ed è possibile osservare i capolavori di sempre sotto una luce nuova.